Digital Exhibition //KUNG FU MOTION

In questo post vi parlerò della mostra digitale KUNG FU MOTION (28.4.-12.8.2018), che ho visitato lo scorso luglio 2018. La mostra si è tenuta nello spazio ARTLAB dell’EPFL (Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne).

Lo spazio è stato progettato nel 2016 dall’architetto Kengo Kuma. L’edificio, sviluppato in lunghezza – una lunga sottile galleria –,  gioca con larghezze differenti : la galleria rimane molto sottile nella sua estremità settentrionale – circa 5 metri–, mentre la sezione si allarga fino a 16 metri circa sulla sua estremità meridionale. Un edificio, quindi, che varia in larghezza. La forma dell’edificio ci interessa particolarmente perché influisce sul rapporto tra il contenuto della mostra, per lo più digitale (lo scopo della mostra è quello di recuperare e reinterpretare il patrimonio culturale immateriale delle arti marziali tradizionali cinesi al fine di renderlo vivente, les archives vivantes), e il contenitore, lo spazio ospite, che non sembra progettato per ospitare una mostra digitale, interattiva e immersiva.  Quali sono le resistenze manifestate da questo spazio?

La mostra è divisa in 4 sezioni tematiche: Introduzione, Kung Fu a Hong Kong, Cinema e globalizzazione, Gli archivi futuri e l’umanistica digitale.

L’allestimento della mostra, documentato bene dalle immagini che potrete vedere al link di sotto, ci mostra una scelta cromatica dovuta, il rosso, il colore del nastro di tessuto (un segno cromatico e plastico) che scorre centralmente sul soffitto per tutta la lunghezza della galleria, mentre 4 pannelli verticali rossi tratteggiano lo spazio indicando le sezioni della mostra. Le pareti laterali lasciate bianche sono ricoperte da poster, fotografie, pannelli informativi rossi e immagini in movimento.

Lo scopo dell’allestimento è quello di rendere disponibile al pubblico l’immersione e l’interattività del mondo digitale (experimental museology) cercando forme di display (per esempio, viene riproposta la visione a ciclorama o panorama con display circolare) e di supporto adatte a questi “oggetti digitali”. Si creano così spazi di visione differenti e diverse posture tra il visitatore/spettatore e “l’oggetto espositivo” (infatti convivono differenti immagini in movimento: games, visioni 3D, visione di dati, spezzoni di film, installazione, ricostruzioni virtuali, etc.). Per esempio, notiamo la collocazione di una serie di immagini in movimento all’interno di una scenografia ispirata alla Cina oppure vediamo delle zone con sedute per usufruire del tablet e/o guardare delle immagini proiettate sulla parete. O ancora, lungo il percorso sono poste delle piccole stanze con video diversi (multi-view, panoramic video, slow-motion video).

Seguendo questo schema espositivo, la prima dissonanza, a mio parere, emerge dalla geometria dello spazio (il contenitore) che forse non è nato per accogliere delle mostre dove il mondo digitale, in tutta la sua estensione, fa da protagonista. Un mondo espositivo che forse necessita di ripensare i suoi spazi fisici, per esempio più ampi e di più facile fruizione per il visitatore/spettatore. Per esempio in KUNG FU MOTION la circolazione in presenza di molti visitatori non è del tutto agevole non permettendo di utilizzare al meglio le tecnologie e penalizzando così l’immersione e l’interattività (che richiede  più tempo di sosta da parte del visitatore, come in ottica di video gioco). La mostra sovrappone diversi livelli di lettura utilizzando più tecnologie video (motion capture, motion-over-time analytics, 3D reconstruction, panoramic video) che alla fine risultano interessanti per poter sperimentare un allestimento in ottica di “oggetti digitali” (rapporto oggetto digitale-allestimento).

Tuttavia, questa mostra mette anche in luce le difficoltà nel creare un percorso di visita tenendo conto delle esigenze dello spettatore e della conformazione dello spazio : i) la ricchezza di tecnologie digitali raggruppate in uno spazio fisico che non appare adeguato ad ospitarli, ii) la sfida progettuale che vede coinvolto il designer nel cercare nuove modalità di allestimento che tengano in conto non solo “l’oggetto digitale”, ma la diversa postura del visitatore di fronte a questo tipo di oggetto e al tempo di fruizione delllo stesso.

Per concludere, la mostra digitale, con i suoi attributi,  ha bisogno di una riflessione progettuale complessa che parta dallo spazio che la ospita,  per poter ragionare sull’allestimento (display, percorso, illuminazione, colori, materiali, grafiche, etc.) che non deve solo comunicare, ma creare le miglior condizioni per l’interattività e l’immersione. Kung Fu Motion prova a interrogarsi sull’allestimento al servizio del digitale per cercare altre forme di allestimento per una mostra ormai sempre più incline all’immersione e all’interattività.

 

Kung Fu Motion examines strategies for enconding, re-enacting intangible heritage in ways that allow these archives to be “alive” in the present. The exhibition including motion capture, motion-over-time analytics, 3D reconstruction, and panoramic video.  The exhibition is divided into 4 sections: Introduction, Kung Fu in Hong Kong, Cinema and Globalization, Future archive and digital humanities. Kung Fu Motion derives from a longitudinal research project, the Hong Kong Martial Arts Living Archive (instigated in 2012). This ongoing research is a collaborayion between the international Guosha Association, City University of Hong Kong, and the Laboratory for Experimental museology (eM+), Digital Humanities Institute, EPFL [1].

OPEN_IMMAGINI DELLA MOSTRA

Bibliografia

Parry Ross, Museums in a Digital Age, NY, Routledge, 2010 // Vince Dziekan , Virtuality and the Art of Exhibition, Intellect Ltd, Chicago, 2012.

[1] Fonte: libretto esplicativo della mostra.

 

 

Exhibition // Noir, c’est noir?

Les Outrenoirs di Pierre Soulages. Una mostra tra arte e scienza.

The Outrenoirs of Pierre Soulages. An exhibition at the intersection of art and science.

Con questo post vogliamo dare spazio a un filone espositivo che vede la scienza entrare nei musei e nelle gallerie, luoghi che nel corso del tempo sono stati creati per l’arte, per diventare esperienza visibile al fuori del laboratorio di ricerca. Questo connubio, in alcuni casi forzato, tra arte e scienza pone però degli interrogativi sulle modalità di esposizione, sull’allestimento quale veicolo di comunicazione e, infine, sulla ricezione del visitatore.

Nel nuovo spazio espositivo dell’EPFL di Losanna sono esposte le grandi tele del pittore francese Pierre Soulages. La lunga struttura (che ricorda l’ala espositiva la manica lunga del museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli), definito uno spazio di sperimentazione museale (esperimental exhibition space) è opera dell’architetto giapponese Kengo Kuma.

Noir, c’est noir? è una mostra pilota. L’intento è quello di codificare attraverso lo studio scientifico il fenomeno della luce che l’artista ha trattato nelle sue opere come una materia e non come fenomeno ottico. Infatti, l’artista afferma:

“Per non limitare queste tele a un fenomeno ottico, ho inventato il termine Outrenoir, al di là del nero, una luce transmutata dal nero. […] Outrenoir indica un altro paese, un altro stato mentale che vada oltre a quello di un semplice nero”.

La mostra è sperimentale. Ricercatori e designer dell’EPFL hanno fatto ricorso alla tecnologia digitale per proporre uno sguardo originale sull’opera di Soulages. Tuttavia, questa mostra presenta dei limiti di percezione delle opere e di allestimento.

The pilot exhibition Noir, c’est noir ? does limit itself to the tautological allure of its title. It hunts down and overcomes misleading evidence by joining the insights of art with the enlightenment of science. Soulages says:

“To avoid reducing these paintings to an optical phenomenon, I invented the word Outrenoir,- beyond black, a light transmuted by black. […] Outrenoir designate another country, a different mental field beyond that of simple black”. [1]

The exhibition proves itself to be an experimental challenge. EPFL researchers and designers are taking advantage of sophisticated technologies to offer an original perspective into the Outrenoirs of Solages. However, this exhibition has limitations of perception and of the scenography.[2]

Biblioteca di 32 pigmenti neri. Library of 32 black pigments.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mostra è divisa in sezioni tematiche legate alla scienza: immersione, materia, luce, struttura e ottico (immersion, matter, light, structure, optics). Per quanto riguarda l’allestimento, le indicazioni per il visitatore – soprattutto nella parte dedicata alla scienza sono, in alcune parti del percorso, assenti e vedono l’utente costretto a chiedere aiuto alle poche addette alla mostra (per esempio, il touch screen display – vedi immagine qui sotto – non dispone di una legenda d’uso per l’utente).

Il percorso, obbligato, si sviluppa lungo il corridoio asimmetrico della galleria. Le 19 grandi tele di Soulages, allestite nella galleria, sembrano non trovare una visione di ampio respiro. Infatti, le tele sono disposte a poca distanza l’una dall’altra – se non appese a spessi pannelli murali, delle quinte, di colore bianco o con cavi che scorrono dal pavimento al soffito  – per dare più spazio ai due box costruiti per inserire i ‘giochi’ luminosi.

Per concludere, l’allestimento presenta una pesantezza di fondo dovuta in buona parte alla scelta degli spessi pannelli-muro. Lo spazio dell’architettura e l’allestimento non sembrano trovare un dialogo tra loro rendendo la visita non fluida e a tratti complessa. Personalmente, come exhibition designer, sarei partita da una ricerca di concept che facesse propria la leggerezza di materiale per far emergere e rafforzare, in contrasto, la matericità delle opere di Soulages (che in questa mostra perdono un po’ della loro forza visiva) e diversi dispositivi scientifici di studio sulla luce.

 

Installazione interattiva ‘carte hyperspectrale’. Interactive installation ‘ hyper-spectral map’.

 

 

 

 Touch screen display.

 

 

Dispositivo di regolazione dell’illuminazione che capta il movimento dello spettatore di fronte al quadro. System that is able to detect our position and movements in front of the paintings.

 

[1] Pierre Soulages, “Le noir, la lumière, la peinture”, in Annie Mollard-Desfour, Le dictionnaires des mots et expressions de couleur XXe-XXIe siècle. Le Noir, Paris, CNRS, 2005, p. 14.
[2] Alcuni testi sono stati ripresi dalla brochure di presentazione della mostra.
Info: http://artlab.epfl.ch/soulages

 

# Le parole dell’Exhibition Design

 

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Iniziamo questo 2015 con un articolo che vuole provare a tracciare – certamente non esaustiva o completa – un vocabolario dell’exhibition design attraverso le sue parole. Questo insieme di parole che inizieremo a comporre servirà per mostrare e rilevare la pluridisciplinarietà dell’exhibition design.

Il nostro compito sarà, infatti, quello di monitorare – nel corso del tempo – il movimento  delle parole che compongono la disciplina, collocandole in una prospettiva in divenire.

Oggetto – Colore – Illuminazione – Materia – Percorso – Visitatore – Spazio – Forma – Temporaneità – Circolarità – Architetture – Fisicità – Tecnologia – Grafica – Narrazione – Comunicazione – Multimedialità – Immaginario – Mise en scène – Suono – Testo – Immagini – Sensi – Arte – Effimero – Prospettiva – Prossemica – Vuoto – Pieno

Appello ai lettori _ Inviate altre parole !

Esporre #6 Fuori scala

 

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement

 

Siamo al sesto capitolo del nostro percorso sull’allestimento. In questo breve articolo ci occuperemo del FUORI SCALA, allestire una mostra attraverso il concept del fuori scala creando allo stesso tempo un effetto efficace, spiazzante e immediato. Il tema del fuori scala ci porta a considerare l’esempio del Mosè di Michelangelo Buonarroti. Si osserva un imponente Mosè seduto, con le tavole della Legge poste sotto il braccio.

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Le costruzioni fuori scala sono invenzioni e allusioni che attraggono lo sguardo del visitatore, diventando dei segnali, dei supporti, dei contenitori. Stimolando la percezione falsata degli elementi. Di seguito riporteremo alcuni esempi dell’uso del fuori scala nell’allestimento.

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Padiglione RAI, Achille Castiglioni con Enzo Mari, 1965.

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Padiglione ENI, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Fiera di Milano, 1958.
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Venti progetti per il futuro del Lingotto, Achille Castiglioni con R. Avanzini, A. Bianda, E. Promontorio, grafica Pierluigi Cerri, Torino, 1984.
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Nidi di uomo-green project, Milano, http://www.aaahhhaaa.it
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http://www.aaahhhaaa.it
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Kitchen garden, Milano, 2007, http://www.aaahhhaaa.it
Hogan Riders-Tales&Times of motorcycle lifestyle, studio Migliore+Servetto Architects, Milano, 2003.
Foto del 02-12-14 alle 18.06
Grandi librerie abitate da differenti oggetti.

Altro esempio è l’allestimento dello studio milanese Migliore+Servetto Architects dal titolo THE NEW YORK TIMES ANNIVERSARY, che si è svolto al Bulgari Hotel di Milano in occasione del FuoriSalone del 2009. L’elemento fuori scala che cambia la percezione del visitatore è la riproduzione della carta da gioco. Vi segnaliamo il link alle immagini  dell’allestimento http://architettimiglioreservetto.it/nyt-anniversary/

Bibliografia

Ico Migliore, Mara Servetto, Space Morphing, Edizione 5 Continents, Milano, 2007.

Esporre #3

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement

 

In questo articolo ci occuperemo della tipologia allestitiva che vede nell’accumulazione e nell’esposizione non articolata degli oggetti il suo focus.

L’insieme degli oggetti in mostra occupa tutto lo spazio espositivo facendo percepire al visitatore una totalità spaziale. Gli oggetti sembrano, dunque, inclusi in un armonico microcosmo che non necessariamente deve trasmettere delle informazioni (secondo una gerarchia), ma semplicemente manifestarne la presenza. In tal senso favorendo un confronto diretto, immediato con l’oggetto. In questo caso possiamo dire che la funzione dell’allestimento è quella di essere un medium non il fine.

Il tipo di allestimento in questione tende, a volte, a operare come un effetto immagine. Questa tipologia di allestimento, infatti, può nascere da una i) necessità quantitativa : esporre più oggetti possibili in un dato spazio senza darne un’articolazione particolare (che ricorda la pratica del collezionista, come il museo di John Soane a Londra) ii) oppure dalla volontà di esporre tanti oggetti per costruire  una visione sintetica globale attraverso la ricerca di nuove dimensioni spaziali (come l’Abstraktes Kabinett, il gabinetto astratto di El Lissitzky nel Landes-Museum a Hannover). Di seguito alcuni esempi di questa tipologia d’allestimento e delle declinazioni  i) e ii).

 

Museo d’Arte di San Paolo, allestimento Lina Bo Bardi.

 

Sensidivini, Triennale di Milano, allestimento Migliore+Servetto, 2004.

 

Allestimento mostra 2014 , Formafantasma
 Prima Materia, Stedelijk Museum’s-Hertogenbosch, allestimento Formafantasma, 2014.
Prima materia
Prima materia

 

The New Italian Design 2.0, allestimento Andrea Branzi, Triennale di Milano, 2013.
The New Italian Design 2.0, allestimento Andrea Branzi, Centro cultural la Moneda, Santiago del Cile, 2014.

 

Casa Boschi di Stefano, Milano.
Museo Archeologico, Milano.
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma.

 

 

 

 

 

 

Esporre #2

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement

 

In questo breve articolo ci occuperemo della tipologia allestitiva che vede nel materiale il focus allestitivo. Il materiale, presente in una mostra, è per l’occhio sia struttura che tessitura dell’allestimento. Il suo effetto dipende da una serie di caratteristiche che le sono proprie, come : il colore, la trasparenza, la trama, il trattamento della superficie, la capacità di accogliere la luce e di rifletterla, la resistenza.
Lo spazio e le forme dell’allestimento possono essere influenzati in maniera decisiva dalla tipologia di materiale scelto, creando così una subordinazione nelle scelte allestitive. Il materiale, dunque, è un elemento dell’allestimento che ha una funzione importante sia fisiologica che psicologica, diventando in molti casi un concept sul quale costruire il progetto allestitivo.

Il tessuto, o l’enfasi barocca

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Carlo Scarpa, allestimento mostra “Antonello da Messina”, Municipio, Messina, 1953.

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Boutique Mademoiselle di Sorrento.

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Esposizione I protagonisti del design italiano, Salone del mobile, Milano, 2009.

[Note] Le immagini 1 e 2 sono state tratte da Pier Federico Caliari, “La forma dell’effimero”, Milano, Ed. Lybra, 2000 e da “Nuovo Allestimento Italiano”, Milano, Ed. Lybra, 1997.

 

 

Esporre #1

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement …

 

Mies van der Rohe ha sostenuto nel saggio dal titiolo Zum Thema : Ausstellungen (1928) [1] che il compito delle esposizioni future sarebbe stato quello d’ “intensificare la vita” : renderla più intensa, rafforzarla. In questo senso, l’atto espositivo avrà il compito d’intensificare l’esperienza del visitatore ricorrendo a quelle forme di allestimento capaci di rappresentare, in un dato spazio, un’idea coerente di progetto. Forme di allestimento che, come prodotto culturale di un’esposizione, presentano meccanismi interni che compaiono, si evolvono e, in seguito, si ripetono consolidandosi nel corso della storia.

In questo breve articolo ci occuperemo di una prima tipologia di allestimento, che vede l’isolamento dell’oggetto come focus allestitivo. Dobbiamo, al tal fine, considerare che le diverse tipologie allestitive (che saranno oggetto dei prossimi articoli) non sempre garantiscono il senso della proposta, ma rendono possibile il mantenimento di una direzione rigorosa di progetto.

Questa tipologia d’allestimento ha lo scopo d’isolare un oggetto inserendolo in uno spazio vuoto, su uno sfondo distante o piatto, il più delle volte senza alcuna informazione. Questa soluzione è concepita per rafforzare la relazione tra l’oggetto e il visitatore e tra la forma e lo spazio espositivo, creando eterogeni effetti scenografici.

 

1954-56, Pietà Rondanini di Michelangelo, Sala degli Scarglioni, Castello Sforzesco, Milano
1956-63, Sala degli Scarlioni, Castello Sforzesco, Milano.
Pietà Rondanini di Michelangelo, allestimento BBPR.

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1984, Palazzo Sogetsu Kaikan, Tokyo.
Italian Design, allestimento Pierluigi Cerri (Gregotti Associati).
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1984, Palazzo Strozzi, Firenze.
Fortuny nella Belle Epoque, allestimento Rostagno e Pettini.
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1934, Sala di Icaro, Esposizione dell’Aeronautica italiana al Palazzo dell’Arte della Triennale di Milano, 1934.
Allestimento Giuseppe Pagano, scultura Marcello Mascherini, pittura murale Bruno Munari.

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[1] Saggio pubblicato nel 1928 su “Die Form”, 3, 4.